Castel di Guido

Emozioni

I luoghi raccontano anche emozioni al nostro cuore e qui troverete alcuni di questi pensieri

Lo vedete? Tutto questo verde in questa grande tenuta agricola? Voi oggi lo conoscete come “Castel di Guido”, un tempo si chiamava Lorium.

Ci troviamo ad ovest di Roma, in un luogo popolato fin dai primi anni del II secolo a.C., un tempo sede di una delle ville dell’imperatore Antonino Pio.

Come molti angoli del nostro territorio, anche Castel di Guido ha una storia che merita di essere raccontata e non dimenticata.

Durante di anni della Seconda Guerra Mondiale, anche l’Italia ricorse a misure di internamento.  Sul territorio del nostro paese, nelle zone più isolate, lontani dai centri abitati e con scarse vie di comunicazione, vennero costruiti dei campi di concentramento che, però, erano mascherati sotto altre definizioni. Al loro interno erano detenuti oppositori politici ed allogeni (ossia persone appartenenti a minoranze etniche e linguistiche) come, ad esempio, ebrei italiani internati in quanto antifascisti militanti o soggetti ritenuti pericolosi, stranieri di “paesi nemici”, zingari, antifascisti schedati e, in seguito all’occupazione italiana della Jugoslavia, anche cittadini sloveni e croati.

Perché vi sto parlando, proprio qui a Castel di Guido, della Seconda Guerra Mondiale? Perché vorrei leggervi una pagina di diario che abbiamo il dovere di tenere nei nostri cuori e nelle nostre menti.

 

È la primavera del 1942, il mio Paese è entrato in guerra da ormai due anni. I soldati tedeschi sono nelle nostre terre, l’aria è rarefatta così come la nostra libertà di pensiero, di scelta. Sono stati bruciati anche i libri e nemmeno l’azzurro del mare mi scalda più l’anima.

Sono stato fortunato, non come i miei fratelli.

La stella cucita sui miei vestiti come se fosse un marchio di fuoco mi ha portato in un campo di lavoro.

Qui siamo tutti uomini e possiamo uscire dalla camerata solo se decidiamo di lavorare, o per la tenuta agricola o usando le nostre capacità. In pratica serviamo al signor Parrini, il direttore di questa vecchia azienda agricola, come manodopera a costo quasi inesistente.

Sembra che non muoia nessuno… Sono stato fortunato.

La nostra camerata è in un grande edificio sopra le stalle. A volte facciamo fatica a respirare per il fetore. Siamo una cinquantina, ebrei come me, italiani antifascisti, zingari, croati e serbi.
Accanto al nostro grande edificio ci sono l’officina e la falegnameria dove lavoriamo. Poco più in la c’è la mensa.

Tutto intorno è recintato, non possiamo uscire e siamo controllati ad ogni ora dai carabinieri però possiamo mangiare e lavorare…. Sono stato fortunato.

Qualche settimana fa un mio compagno si è ferito e non può lavorare. Sta impazzendo. Senza il lavoro non può uscire dalla camerata e non può vedere il cielo. Se non rispettiamo le regole saremmo incarcerati a Regina Coeli e una gabbia stretta è peggio di una gabbia larga con il giardino e il lavoro.

Non mi sono mai fatto male né ammalato fino ad ora. Ho visto il cielo tutti i giorni… sono stato fortunato.

Qui abitano anche alcune famiglie di dipendenti che non sono internati. Loro hanno insegnato il loro mestiere a chi qui non può fare il proprio lavoro e ci hanno permesso di avere una quotidianità e di sperare ancora che al mondo esista qualcuno di buono.

Sono ancora vivo… sono stato fortunato.

Quando mi hanno messo sul camion per venire qui mi hanno strappato dalle mani la mia sorellina più piccola e la persona che amo. Non ho più rivisto nessuna delle due.. spero siano state fortunate.

 

Questa è la storia di un giovane uomo che, come tanti altri, ha visto la propria vita stravolgersi e svanire. Di un uomo diviso dalla propria famiglia, che cerca di trovare il buono in ciò che gli è accaduto con la consapevolezza che altre persone come lui non potranno farlo.

Il campo di lavoro di Castel di Guido perseguiva l’ideale fascista ma non era un campo di sterminio. Le loro docce emettevano acqua e non gas. I suoi abitanti erano manodopera a basso costo, sfruttati e maltrattati, ma vivi.

Successivamente alla caduta del fascismo, l’attività del campo proseguì per qualche giorno fino alla sua chiusura definitiva.

Nel dopoguerra, riconoscendo l’importanza storica dei fatti avvenuti, fu apposta una targa in marmo per ricordare il campo di lavoro fascista e non dimenticare mai che anche il nostro territorio ha partecipato alla discriminazione ed all’internamento di persone che non avevano colpa alcuna.

 

 

Fonti:

Leggeri, F., Giannini, G. (2009). Il centro di Lavoro di Castel di Guido. In https://abitarearoma.it/il-centro-di-lavoro-di-castel-di-guido/

Tanzi, P., I campi di internamento del Duce in http://win.storiain.net/arret/num185/artic4.asp.

I campi di concentramento italiani dal 1940 al 1943. In http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionecampia.htm

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